sabato 18 gennaio 2014

 Fantasmi


Abbiamo un problema. Si aggira dalle nostre parti un piccolo fastidioso fantasma importato. Niente a che vedere con nobili guerrieri armaturati uccisi a tradimento che vagano senza pace in castelli semidiroccati o al comando di misteriosi vascelli volanti. Potenti ispiratori di cantori e musici che narrano le loro eroiche gesta e le perpetuano negli anni. Macché. Molto più umilmente il nostro personalissimo fantasmino importato zompetta da un cervello all'altro senza sosta. Ogni occasione può essere quella giusta. Compare nelle ricorrenze, si nasconde dietro ai monumenti, ai cippi funerari, nelle sottane di vescovi e cardinali, nelle tasche di sindaci e assessori e consiglieri comunali. Di ministri e presidenti regionali. Nelle cartelle degli insegnanti, tra le pagine di ignobili libri e negli spartiti di canti che continuano a essere cantati proprio per la melliflua e deleteria presenza del nostro fantasmino. Che mica vuole andarsene. Si aggrappa, lui, con unghie e denti ai fogli ingialliti, alle fodere degli abiti da cerimonia civili, militari e talari. Alle rocce carsiche epigrafate. Un po' segnato dal tempo, il nostro fantasmino, poco da fare. Centocinquant'anni scarsi e a dir la verità portati mica tanto bene. Un'inezia se paragonato al padre di Amleto o all'Olandese Volante. Ma loro resistono alle cosiddete ingiurie del tempo proprio perché avvolti nel manto della fiera nobiltà. Il nostro non è per niente nobile. Avvolto in uno strano tricolore, ricorda nel suo aspetto reale piuttosto un ghiacciolo multigusto dotato di coda e zampette e incisivi giallastri. Questo per chi ha avuto la fortuna di scorgerlo, magari solo per qualche breve istante. Per gli altri ha la maledizione dell'invisibilità. E questo che ci ha sempre fregato, a noi, agli altri. Chi ha avuto la fortuna di vederlo, magari di toccarlo, ne è immune. Vaccinato a vita. Si nutre, il codato ghiacciolo tricolore, di sentimenti importanti, come il senso dell'onore, quello della fedeltà, quello dell'amor patrio. Li divora, questi antichi nobili sentimenti, li mastica voracemente e poi se ne libera con uno sputo per passare alla vittima successiva. Come per tutti, però, il tempo corre rapido e non concede nulla. Sta invecchiando in fretta il nostro fantasmino, decrepita ogni giorno in maniera sempre più evidente. Gli manca la materia prima, è chiaro. Non ha di che nutrirsi e a meno che non cominci a masticare se stesso, sparirà in breve tempo. La realtà inizia a farsi largo tra la follia maleodorante della retorica nazionalista. Tra le chiusure di un mondo morto e sepolto che solo qui da noi poteva ancora sopravvivere, in questi ultimi sussulti deleteri di razzismo stupido e privo di senso. Solo in queste terre, testimoni di convivenze centenarie e fruttuose sotto tutti i punti di vista, economico certo, ma anche culturale, ma anche artistico, ma anche sociale, si poteva aggirare il nostro fantasmino importato, abbarbicato a chi non ha ancora la capacità di intuire che la terra che gli si sta sgretolando sotto ai piedi non apre la strada a un baratro, ma a un morbido sentiero erboso. Ma come dicevo, è destinato a una veloce dipartita, il nostro fantasmino, e quando anche l'ultimo pasto sarà digerito e il cibo retorico scarseggerà fino a esaurirsi del tutto, non gli resterà altro che salutare tutti con le sue zampette e nell'ultimo impeto d'orgoglio raccogliere le forze attraversare Piazza Grande e audacemente percorrere a lenti passi il Molo San Carlo e da lì, una volta in punta, gettare uno sguardo nostalgico pieno di rimpianto a occidente e buttarsi a mare.

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