C’è a Trieste una
via dove mi specchio
nei lunghi giorni di
chiusa tristezza:
si chiama Via del
Lazzaretto Vecchio
Questa targa la possiamo trovare oggi
ai due ingressi dell'attuale via del Lazzaretto Vecchio. I versi sono
del poeta Umberto Saba, che nel suo Canzoniere, si sofferma a
descrivere le sensazioni, i profumi e le attività che si
svolgevano in questa, un tempo, operosa strada cittadina. Via del
Lazzaretto Vecchio era una strada piuttosto lunga, che da Piazza
Grande, parallelamente alle rive, raggiungeva l'antico lazzaretto di
S. Carlo, il quale, in seguito all'edificazione di quello di Santa
Teresa, prese il nome di vecchio, appunto. La strada era in qualche
modo separata a metà del suo percorso dalla Piazza
Giuseppina, oggi conosciuta col nome di Venezia, per proseguire poi
in quella che attualmente è la via stessa.
La parte che da Piazza Grande raggiunge
Piazza Giuseppina, a seguito della laboriosa opera di rimozione della
memoria e di ricostruzione della storia secondo tecniche ben mirate,
che nel periodo immediatamente successivo all'ingresso dell'Italia a
Trieste e subito dopo nel triste ventennio, vengono messe in atto,
mezza via del Lazzaretto Vecchio diventa via Luigi Cadorna. Allo
stesso modo, la gran parte delle strade cittadine subisce la stessa
sorte. Allo stesso modo i nomi originari dei borghi e degli
agglomerati urbani di origine slovena subiscono la stessa sorte. Allo
stesso modo una gran parte dei cognomi dei residenti delle nostre
zone subisce la stessa sorte. In breve la città assiste a un
cambiamento forzato e forzoso di quelle che sono le sue peculiarità
specifiche, della sua storia, delle sue origini, delle sue
tradizioni. Di questo molto si è scritto e molto si è
detto e molto ancora dovrà inevitabilmente venir chiarito. È
evidente che l'effetto, se nell'immediato ha una sua specifica
valenza, continua ad agire nel profondo delle generazioni future, che
si trovano in equilibrio su una corda tesa, fra un'identità
confusa e spesso antitetica di legame con un passato che
inevitabilmente ha le radici divelte e un futuro che si poggia sulla
menzogna. Ma non è di questo che adesso voglio parlare.
Concentriamoci piuttosto, ritornando dopo questa doverosa premessa,
alla figura che volevo prendere in esame. Luigi Cadorna e la logica
legata al voler mantenere una via a lui intitolata, come nel caso di
Trieste, o una stazione ferroviaria, come a Milano, o ad altri casi
analoghi. Chi era dunque, questo personaggio così legato alla
storia italiana, ma anche, di conseguenza, alla storia triestina e a
quella dell'impero? Capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano
dagli inizi della prima guerra mondiale fino alla disfatta italiana
di Caporetto. Figlio d'arte. Un po' come Mozart o Puccini, se
vogliamo, ma mentre i secondi si occupavano di tradurre in musica i
loro stati interiori, il primo tendeva piuttosto a giocare con la
pelle dei suoi soldati.
Il capostipite della famiglia, anche
lui Luigi, ufficiale dell'esercito sabaudo del Regno di Sardegna,
fedelissimo di Vittorio Emanuele I, combatte contro Napoleone, suo
figlio, Raffaele, capitano nella guerra d'indipendenza (1848-49),
diventa in breve generale e soffoca nel sangue la rivolta palermitana
del 1866 e subito dopo quella dei contadini e manovali emiliani, che
protestano per la nuova tassa sul macinato.
Nel 1850, nasce
finalmente il nostro eroe e naturalmente, anche lui, intraprende la
carriera militare. Sottotenente nel 1866, molto legato, in maniera
quasi puntigliosa, all'esteriorità della vita militare. Voglio
citare le parole tratte dal testo di Della Bona, “Grande Guerra,
Piccolo Generali”, dove il Generale, ancora sottufficiale in quel
periodo, risulta un pignolo, quello sì, aggrappato a regole
e regolette tanto da pretendere punizioni per le guardie che
«lasciavano a desiderare» in servizio o per gli ufficiali
che si vestivano fuori ordinanza. Grande
rigore e disciplina, dunque, che per un militare non guasta, ovvio.
Peccato soltanto che disciplina e rigore venivano da lui interpretati
a senso unico. Assolutamente incapace di assumersi le proprie
responsabilità nel caso in cui le critiche venissero rivolte a
lui. In quel caso era bravissimo a scaricare le colpe sui suoi
sottoposti, pratica che nel corso degli anni poi fa diventare una
vera e propria arte. Nel 1910 viene designato come comandante della
II armata in caso di guerra e nelle manovre a Monferrato, nonostante
la consistenza dello schieramento dei reparti, che avrebbe dovuto
portargli una facile vittoria, subisce una sonora sconfitta da parte
dello schieramento del Generale Canova, che viene poi, ovviamente,
preferito a lui come comandante del contingente in Libia. E arriviamo
alla viglia del conflitto mondiale. Capo di Stato Maggiore viene
nominato il generale Alberto Pollio, preferito a Cadorna anche grazie
alle parole di Giolitti: Ho
scelto Pollio che non conosco Perché Cadorna lo conosco. Ma
il generale Pollio dura poco. Nel giugno 1914 un infarto lo stronca.
Insomma, a questo punto, le strade della gloria per il buon Cadorna
si spalancano e le sue dichiarazioni pubbliche tendenti a dimostrare
le difficoltà oggettive di un'eventuale entrata in guerra,
vanno a cozzare con quello che oggi si può tranquillamente
leggere nei suoi diari: piccole
idee, piccoli uomini, guai, se non sapremo osare. Intanto
che si giocano le sorti di centinaia di migliaia di poveri diavoli,
il nostro eroe, e riflettiamo su questo, acquista un consistente
pacchetto di azioni dell'Ansaldo. Ansaldo vuol dire acciaierie, vuol
dire armi. Vuol dire forniture militari. Micidiale! Il binomio
Ansaldo Cadorna verrebbe oggi considerato con indignazione uno
scandaloso “conflitto di interessi” è ovvio. Il buon
Cadorna si occupa degli ordini delle forniture che, nel momento
stesso in cui vengono consegnate e pagate, vanno a incrementare i
dividendi e il suo personale tornaconto. Inezie. Cose da uomini di
mondo, ovviamente. Non ci perderemo mica dietro a queste sciocchezze,
vero? Ma andiamo avanti. Il nostro, ma come mi piace chiamarlo eroe,
pubblica un volumetto di strategia militare che già dal titolo
(attacco frontale) non lascia presagire nulla di buono. Attacco
frontale, tradotto in un linguaggio meno retorico e forse più
realista, significa all'assalto,
senza discutere!. E
come la mettono in pratica, poi, i suoi sottoposti, questa geniale
tattica guerresca e i fanti e i bersaglieri, aiutati dalle generose
dosi di grappa e dalle carabine dell'arma puntate alle spalle non
hanno mica molta scelta. Ma questa è la guerra, che ci si
potrà mai fare. E così, tra un assalto e l'altro, si
arriva a Caporetto, passando anche, me ne stavo quasi dimenticando,
attraverso quella triste pratica che viene definita decimazione,
della
quale nessun esercito in guerra ha raggiunto il triste primato di
quello dei Savoia sotto il suo comando.
Decimazione, o come più
gentilmente veniva definita, giustizia sommaria. Giustizia, come no?
Ci sono tantissimi documenti che mettono in evidenza l'attuazione
della pratica di giustizia sommaria tra i soldati italiani. A volte
basta una protesta, una richiesta di riposo, un ritardo al rientro
dalla licenza. Ma capisco, la disciplina fra le truppe va mantenuta.
Se si vuole arrivare alla vittoria mica si può transigere,
giusto? E poi chi lo va a spiegare al consiglio d'amministrazione
dell'Ansaldo? No no. Per carità. Disciplina e tattica
militare, questo ci vuole e una buona dose di attacchi frontali e
Cadorna questo lo capisce proprio bene e vuole vederle ben dall'alto
le sue truppe, tanto che nelle lettere a casa descrive le sue gite
sul Matajur da dove si
gode una magnifica vista su tutto il campo di battaglia. Insomma,
a conti fatti, il nostro ometto, qui, non è che proprio ci
faccia una gran bella figura. Decisamente no e dal momento che in più
città la memoria storica sta crescendo e sempre più
spesso in Italia ci sono comitati di cittadini che si rivolgono ai
consigli comunali, per togliere il nome di questa vergogna da strade,
piazze e stazioni, mi (e vi) pongo una domanda. Perché da noi,
no? Proprio qui a Trieste, dove, comunque l'esercito dei Savoia era
nemico, dove comunque i nostri ragazzi, che oggi in realtà
sono i nostri antenati, stavano dall'altra parte della barricata,
proprio qui, dicevo, dobbiamo continuare, non soltanto a mantenere
inalterata una toponomastica scandalosa, ma insistere su questa senza
porci il minimo dubbio? Cominciamo a capire chi siamo veramente,
cominciamo a guardare in faccia la realtà. Basta nascondersi
dietro paraventi retorici che servono soltanto a mantenere viva
l'illusione che le cose siano inalterabili e inalterate. Trieste ha
una sua ben precisa fisionomia. È una fisionomia particolare,
unica. Senza questa sua unicità Trieste è destinata a
sparire. Ne siamo consapevoli?
Jakob
Che Trieste abbia una via intitolata a Cadorna per ricordarlo quale principale responsabile della disfatta di Caporetto.?
RispondiEliminaPiacerebbe che fosse così... :D
purtroppo per lui resterà nella memoria come un orrendo macellaio
EliminaLa nostra famiglia Olivari proveniente da Trieste si riconosce in ciò che è stato scritto in quanto abbiamo firme dei nostri bisnonni a nome Glivar... molto interessante!
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